Spesso, magari senza esserne consapevoli, si usano parole e espressioni che contribuiscono a rafforzare stereotipi e pregiudizi sulla disabilità.
Questo tipo di linguaggio, definito abilista, riduce le persone con disabilità a etichette o limiti, invece di riconoscerle come individui completi e diversi.
Imparare a usare un linguaggio inclusivo non è una questione di sensibilità: è il livello base per chi vuole costruire una comunicazione rispettosa.

L’abilismo è una forma di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità.
Il linguaggio abilista è l’utilizzo di parole o espressioni che discriminano, volontariamente o non, una persona con disabilità, con espressioni che la definiscono soltanto in base a quella sua caratteristica, spesso associandola a difetti, fragilità o a caratteristiche negative.
Il linguaggio inclusivo sposta l’attenzione dalla condizione alla persona, mettendo in primo piano la sua identità: parliamo quindi di “persona con disabilità” e non di “disabile”.
Anche termini come “handicappato”, “portatore di handicap” o “diversamente abile” sono limitanti e offensivi. Hai mai sentito qualcuno parlare di “diversamente etero” o “diversamente bianco”? Ecco, è la stessa cosa.
Un linguaggio abilista può avere molteplici forme: può infantilizzare, spettacolarizzare, ispirare in modo pietistico oppure essere usata come metafora negativa.
Ecco delle forme comuni di abilismo nella comunicazione, con esempi di termini abilisti da evitare ed eventuali alternative inclusive.
L’infantilizzazione delle persone con disabilità consiste nel trattarle come se fossero incapaci, immature o eternamente bisognose di tutela, ignorando le reali capacità e l'autonomia.
Un esempio classico è l’uso di espressioni come “persone speciali”, “poverino”, che riducono a uno stato infantile e vulnerabile l’individuo.
Evitare l’infantilizzazione è necessario per rispettare l’autonomia e la dignità delle persone con disabilità.
Descrivere una persona con disabilità come un “eroe” o “guerriero” solo per vivere la propria vita, esagerando il coraggio e riducendo la complessità dell’esperienza umana a una narrazione eroica.
Frasi come “è un poverino”, “è coraggioso nonostante la sua condizione” utilizzano la disabilità come metafora di qualcosa di inferiore o sbagliato, e vanno evitati.
Nel tentativo di usare un linguaggio più rispettoso, capita spesso di sentire espressioni come “non udente” o “non vedente” per riferirsi a persone con disabilità sensoriali. Sebbene possano sembrare più delicate rispetto a termini più diretti e corretti come “cieco” o “sordo”, queste espressioni nascondono insidie linguistiche importanti.
Usare la negazione per definire una persona significa porre l’accento sulla mancanza o sull’assenza di una caratteristica, enfatizzando la differenza in modo negativo.
È preferibile usare termini precisi e affermativi, come “persona cieca”, “persona sorda”, oppure con specificazioni più dettagliate come “persona con disabilità visiva” o “persona con disabilità uditiva”.
Usare la disabilità come sinonimo di qualcosa di difettoso o inferiore, ad esempio: “quel progetto ha un handicap”. Non solo rafforza stereotipi, ma può generare ansia, isolamento e senso di inadeguatezza, oltre a normalizzare pregiudizi nella società.
Per questo è fondamentale evitarle, senza appesantire la comunicazione con immagini nocive e stereotipate.
Frasi che sottintendono che la persona con disabilità abbia sempre bisogno di aiuto o sia meno autonoma senza averne conferma.
Un fenomeno correlato è quello della cosiddetta “pornografia motivazionale”: un’espressione un po’ forte per indicare quando qualcuno racconta la vita di una persona disabile come se fosse una storia da supereroe o un film strappalacrime, e non una normale azione quotidiana, come “Hai visto quella persona che fa la spesa da sola? Che coraggio!”.
Questa visione paternalistica nasce dall’idea che la disabilità sia una limitazione che richiede un “superamento” continuo, trasformando la persona in un esempio da ammirare o compatire, più che in un individuo con diritti e dignità.
Chi vuole costruire un brand inclusivo, quando deve parlare di disabilità, può seguire piccoli accorgimenti che fanno la differenza:
Utilizzare un linguaggio inclusivo è una scelta vincente per chi vuole un personal brand attento nella comunicazione.
Iniziare a parlare della disabilità in modo consapevole significa non solo rispettare gli altri, ma anche elevare la qualità del proprio messaggio e della propria presenza online.
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