Giovedì e venerdì ho partecipato agli Accessibility Days a Milano, l'evento dedicato all’accessibilità e alle disabilità rivolto a chi lavora nel digitale.
Ci tenevo a esserci. Da professionista che si occupa (anche) di accessibilità, volevo aggiornarmi, confrontarmi, imparare. Ero carica, motivata, pronta a prendere appunti.
E lo confermo: ho partecipato a due workshop e alcune sessioni e mi sono portata a casa spunti pratici da applicare al mio lavoro. Ho seguito interventi di persone competenti e appassionate. Sono stati i momenti in cui ho pensato: "è esattamente questo è il motivo per cui sono venuta qui".
Non voglio fare la guastafeste polemica, sia chiaro. L’impegno dell’organizzazione è evidente, e non è scontato vedere così tante realtà confrontarsi sul tema dell’inclusione digitale.
Eppure, tra una slide e l’altra, qualcosa mi ha fatto storcere il naso. E non si tratta di un dettaglio.

Il sito ufficiale dell’evento prometteva una "conferenza accessibile sia in presenza che online", con sottotitolazione manuale e interpretariato LIS nei vantaggi del partecipare in presenza. Peccato però che non fosse specificato da nessuna parte che i workshop fossero esclusi da queste modalità di accessibilità.
Questa mancanza di chiarezza ha creato un fraintendimento importante. Chi si è iscritto ai workshop, ha dato per scontato che anche questi fossero accessibili, trattandosi di un evento sull'accessibilità.
E invece no.
Non erano presenti sottotitoli durante i workshop, rendendoli di fatto non accessibili. E mi riferisco ad un caso specifico: durante un workshop a cui ho partecipato, una persona con disabilità ha richiesto le sottotitolazioni all'inizio, ma ha dovuto abbandonare la sala per la mancanza di accessibilità.
In un evento dedicato all’accessibilità, questa mancanza di coerenza e trasparenza è un errore di comunicazione. Non solo esclude parte del pubblico a cui l’evento dovrebbe rivolgersi, ma nega anche la possibilità di essere consapevoli delle reali condizioni di partecipazione.
La comunicazione accessibile non riguarda solo la forma, ma anche il contenuto, le informazioni, le aspettative.
In questo caso, bastava specificare in fase di iscrizione che i workshop non avrebbero avuto sottotitolazione. Bastava una riga, un’icona, una nota esplicita. Invece, il messaggio lasciava intendere che tutta l’esperienza in presenza fosse accessibile. E questo ha portato a esclusioni reali.
Non scrivo tutto questo per criticare l’iniziativa, anzi. Le sessioni a cui ho partecipato sono state positive e stimolanti. Gli Accessibility Days restano un evento prezioso, e il lavoro fatto fin qui merita riconoscimento. Ma se fossi stata una persona con disabilità uditive, i workshop sarebbero stati un'amara delusione. E questo non dovrebbe accadere, soprattutto in un contesto che ha l’ambizione e la responsabilità di essere accessibile.
Proprio per questo, credo sia giusto condividere anche le criticità: per fare meglio, per essere davvero inclusivi, per ricordarci che la comunicazione chiara non è un corredo opzionale dell’accessibilità, ma uno dei suoi pilastri.
E io, nel mio piccolo, continuerò a lavorare ogni giorno perché quel pilastro sia solido, comprensibile, e davvero per tutte e tutti.
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